
La
madre pensa che questo sia un capriccio e la sfida ad andarsene, ad
abbandonare il castello e tutti i suoi comfort per vivere dove
dimorano le streghe: un luogo sporco, cupo e impervio. Rosmarino
parte con il suo cappello (non più a punta) e scopre che il bosco,
perché questo è il luogo “tremendo”, è in realtà
un’esplosione di colore, caotico vibrante di vita, di corse, di
ginocchia sbucciate e di risate sguaiate.
La
madre di Rosmarino, spinta dalla curiosità e dal desiderio di
rivederla, parte e trova una Rosmarino felice, a cui dà la sua
benedizione, come in ogni fiaba che si rispetti. Ma Rosmarino
sottolinea la sua identità affermando in modo perentorio:
“Io
non sono una strega, io sono Rosmarino, e se voglio divento una
strega, e se non voglio posso anche tornare fata: e allora con la mia
scopa vengo al castello a trovare te e le zie…”
Rosmarino
è un inno alla libertà, al desiderio di essere se stessi, anche se
questo implica dover fare scelte radicali. Rosmarino si ribella
perché per crescere e per trovare la sua identità ha bisogno di
rompere gli schemi, di fare il contrario di quello che le dice la
madre per poi, una volta affrontato il viaggio, magari tornare al
punto di partenza ma in modo nuovo, con indosso i propri panni, che
siano da strega o da fata poco importa, l’importante è che siano
di Rosmarino, come dimostra il cappello con il pon-pon che porta con
tanto orgoglio.
