Quello da qui voleva essere un abbraccio per chi piano piano sapeva, e una coccola per chi avrebbe poi saputo, quel qualcosa che senza saperlo preparasse se vi fosse stato un qualcosa a cui prepararsi.
C'è il tempo del ricordo. Il nostro è intimo, diverso per ognuno. Nasconderò anche qui cose piccole, indizi che forse solo tu potrai capire, una dose di reale e tre di magia.
Me lo hai insegnato, io le risposte le cerco nei nostri libri. Mi sono imbattuta in una frase di Winnie Pooh che diceva “Se tu vivessi fino a cent’anni, vorrei vivere fino a cento meno uno così non dovrei mai vivere senza di te.” Scuoto la testa al caso , per te avrebbe dovuto andare qualche pagina avanti, alla riga dove dice “Quanto sono fortunato ad avere qualcosa che rende difficile dire arrivederci.”
Chi capita nelle nostre pagine sa benissimo chi era Gianna, sorridente e ostinata, ironica e dalla memoria elefantesca, . Terribilmente e splendidamente Viva.
Quando pochi giorni fa avevo scelto la poesia di Silvia Vecchini era perché le sue scale nella notte, nella mia testa, erano le scale della libreria il lunedì, ed erano le scale di Montale. Mentre inanellavo pensieri e parole non sapevo cosa stava accadendo lontano.
Scelsi altre parole di aria per preparare al silenzio.
Siamo tutti qui Gianna, testardi quanto te, quanto voi, che da testardi incoscienti avete aperto e che ci avete detto poi di non farlo, e sorridevate complici a scoprirci testardi andare avanti, ribelli persino a voi.
Cosa bella, quei gradini di cui parla Montale sono tornati nei pensieri di molti di noi, quelli che ogni mese si ritrovano a tessere questa coperta di storie iniziata da Gianna e Roberto.
Pochi sanno che in una casa milanese ora silenziosa quella poesia ha, o almeno aveva alcuni anni fa, un segnalibro a tenerla a portata di mano, se non lo troveranno forse vorrà dire che sarà scivolato a mettere il segno a distanza in altre copie nelle nostre mani:
Grazie Gianna, dei tuoi occhi limpidi,
di averci insegnato a guardare,
della coperta che ci hai dato per scaldarci dal freddo di inverni come questo.
Tu sorridi, lo sappiamo, come Proserpina già pensi che un inverno porta il fiorire dei crochi.
Nei boschi del Friuli una volta mi hai detto che quei crochi fiorivano, inconsapevoli del terremoto che aveva provato a distruggerli, quarant'anni fa, un modo per raccontarmi la differenza con gli uomini, e che il vostro scegliere di sposarvi lì era per essere un po' come i crochi, far primavera in quello che era un inverno delle vite.
Non tutti i bambini di domani sapranno che se siamo lì ad incontrarli vostro è il merito, ma fioriranno di storie così come hanno imparato a camminare, è una promessa.
Come noi abbiamo imparato standovi accanto.
Scendendo le scale.
Vivendovi.
Una fortuna invidiabile la nostra.
Nessun commento:
Posta un commento